sabato 26 dicembre 2015

dette, prima di pensate

il senso delle tue parole, o meneceo, m'è chiaro. quel che mi sfugge è la tua motivazione, la tua ragion sufficiente, a pronunziarle.

queste parole
voce dal sen fuggita
ora mi pento:
tanta la fretta
la poca assennatezza

avrò pensato
di certo troppo tardi
che quanto detto
impegno procurato.
stolto: ora ti tocca.

esciti quindi
dal comodo piumone:
fuori fa freddo?
niente, a paragone
di parola mancata

che freddo muove
e disdecoro porta.
porta che chiudi,
prima sia fatto tardi
calata sia la sera.

sabato 7 novembre 2015

i quattro quarti della bestia trionfante

le questioni filosofiche sono un po' come i quattro quarti della bestia: uno le pone, l'altro le avversa, il terzo ne fa esegesi, il quarto le sorpassa. e avanti il prossimo.


candido foglio
solo una linea giace
e dividendo
quattro le sghembe parti
quattro i partiti contro

prima l'autore
che tanta linea trasse.
di propria hubris
ebbro, s'erge spavaldo
di qua dal proprio parto

poi l'avversario:
incalza, eristico
nei detti, e di
logiche sentenze ad
avversione adorno

quindi 'l fedele
scolaro del maestro:
ripitta linea
d'esegetica tinta,
e di ragion veduta

infin l'alieno
che viene a dimostrare
tutto è mal posto,
è da ridisegnare:
abbiate fede, devo

solo lavorare.
e quindi torna 'l foglio
a bianco, e da
qui chiede nuova ligna:
che tratta, si riparte.

venerdì 3 luglio 2015

alla fine della proairesi

forse è meglio temere la propria proairesi: renderà inadatti al mondo, solo perché metterà in grado di leggerlo. a ben pensarci kant avrebbe dovuto mettere in guardia il neofita dal confondersi con i propri occhiali rossi, e forse lo fece, e forse non fummo in grado di capirlo.

quando il vaso
di moderna pandora,
riempito ad arte
da squallidi buffoni,
malvagità professa.

vedi ben chiaro
il male che raccoglie
il danno grave
il dolo, manifesto
nell'attraente buccia.

ora ne fuggi
e corri via lontano
da quell'incendio
brillante di luce e di
guizzi curiosi ornato.

mentre là, sulla
montagna d'ostinata
ragion agita
quella severa pace
che salvezza somiglia.

mercoledì 1 luglio 2015

peri phÿseos

tutto il valore della lezione greca può rappresentarsi nella genesi del mito, e nel suo successivo esodo verso la ragione. in fondo, per adorare il lògos è necessario attribuirgli cosmologia, finalismo ed etica.

nulla che il mito di prometeo non esemplifichi adeguatamente.

sulla natura,
quélla madre perfétta
e non coinvólta
nel vano tentativo
del vivere dei bruti.

madre asintoto,
massimo fenomeno,
che l'essenza del
reale rappresenti.
parlaci, e di nuovo,

torni dal monte
il folle prometeo
ebbro di hubris
e vate al tempo stesso
ospite solerte e

vittima di sua
propria parresìa, sì
che ci sia dato
nuovo mezzo opportuno
di terrena salvezza.

martedì 30 giugno 2015

bull durham, summer '015

volendo trarre vantaggio concreto dalla grande lezione della cultura greca, uno può, largo circa, dividere la propria esistenza in due periodi, due fasi: una prima, a suo modo mitopoietica, nella quale è opportuno costruisca un repertorio di fonti ispirazionali, siano esse figure di santi o di eroi, o più prosaicamente di personaggi di film, libri, e di sceneggiature. a seguire potrà divertirsi a riconoscere queste situazioni mano mano che gli accadono, ed avendole in questo modo previste le troverà certo meno dure.

ad esempio, non ricordassi la contraddizione esistenziale di kevin costner in bull durham, questa mia presente mi parrebbe davvero insopportabile.

batto la palla,
nell'aja polverosa
del sole a picco.
nel superfluo meriggio,
l'inutile partita.

lontane grida
di cani per dovere
intenti, recan
affanno 'la quiete
del sagace tacchino

conscio sereno
di quanta sua natura
a corda legato
convenga, e felice
il suo natale attende.

quando fortuna
viene la pioggia, muta
e rasserena
l'aria, stanca di voci
parlanti senza dire.

domenica 18 gennaio 2015

la speranza finisce

quando i celti, affidata la loro speranza, ne vedono inevitabile l'avvicinarsi a condanna, a fallimento, allora intonano un canto, uno qualsiasi, un canto di marcia verso la battaglia, verso la sicura morte che ad essa segue, e solo gloriosamente anticipata. e nel canto piangono tutte le lacrime, e ridono assieme, perché se muore la speranza, di essi muore solo l'illusione che speranza ha suscitato. The triangle tingles and the trumpet plays slow.

guarda la marcia,
verso fine sicura,
persa speranza.
intona la canzone
che tenga compagnia

questo percorso
così pareva lieto,
tanto dolore
ha portato, invece,
eppure rifaresti

la stessa strada,
spereresti ancora
nella fortuna,
nel fato ignorante,
la cieca provvidenza.

mentre, se intendi,
l'oracolo ti spiega,
illuso a morte:
adesso puoi piangerne
e riderne, assieme.

sabato 17 gennaio 2015

la mia canzone

mi si dice che lo spirito dei popoli celti giaccia nelle loro canzoni: sventurato sia chi di quelle canzoni la strada abbia smarrito.

la mia canzone:
parole a caso, muto
il sentimento
e povera di suono,
così come mi viene

solo un sussurro,
che rompe il silenzio
la buja notte
dove il sonno lascia
posto, e disperato

a quel rimpianto
sempre saputo, sempre
temuto mostro,
sempre destino, fato
disgraziato di folle

che sguardo levi
verso quella luce di
stella proibita.

forse è meglio che ne parli il bardo de Sfroos

(E alura te speci che
Suta l'ala de la sciguèta
Fermu cume un saant de marmu
Cumè una quercia cumè un bull

e cumè l' oecc del pèss gio in tèra
cumè l'umbria de la buteglia
cumè la cruus del cimiteri
cumè sto pràa pièe de guldoni urmai spendüü

te speci che fin che'l suu ghe n'ha pièe i ball
fin che passa il pipistrèll
finche il muund gh'a pioe i paròll

e me podi scultà i tòo
me te speci che.)

mercoledì 24 dicembre 2014

la stella della vigilia di natale

ancora non sò quanto sarà da ringraziare questo natale, per quel che sta portando. ma per l'ablazione del tartaro schifoso cialtrobauda già mi resta grato, e consolante. che se questa è metafora di parte destruente, allora davvero  meravigliosa majeutica potrà seguire.

vigilia di natale

cieca la notte
il bujo senza tempo
detta l'eterno
fuori le mura nulla
par accadere, niente.

nella capanna
poche cose banali
anche consunte
qualche parva razione
del vino, della frutta

cerchi miracol
che riporti speranza,
ritrovi strada
già smarrita, creduta
persa, e denegata.

guardi le mani,
a forma di preghiera
giunte ormai stanche
del lavoro paziente,
di chi aspetta sera.

e mentre tutto
potrebbe parer perso,
e vuoto sforzo
e senza ricompensa
vedi la stella, splende.

lunedì 15 dicembre 2014

verso la fine del tunnel

iniziare il lunedì con un viaggio inopinato al palazzo del satanasso cialtrobaudita è in fondo confortante. fatta questa cortese visita, il resto mi resterà lieve.

e andando, sul treno che sbaglia
giusto posata a modo la bagaglia
trattengo a fatica la sbadiglia
nel mentre che oltrepasso la gentaglia
gravata di zavorra la caviglia

lunedì 8 dicembre 2014

la zuppa di Cerere

ogni tanto mi piace fingermi in armonia con la natura, e dare congedo al permaloso Cirano che alberga da qualche parte del mio nulla.

lungo meriggio
trascina, senz'affanni
dove Cerere
padrona della casa
il desco apparecchia

la zuppa mesce:
dell'ultimo conforto
segno segreto.
stanco, il viaggiatore
e ricco di tesori

gode il silenzio.
quanto passato ora
non serve, buffa
signora. e pietosa
compagna di canzoni.

testimoniata
l'umana sofferenza,
vinta passione,
esercitata cura,
eccoti saggio. bravo.

martedì 7 ottobre 2014

la curva cieca, verso l'inverno

preparandosi all'inevitabile, alla romagnolissima battilarda di domani e con fortuna anche dopo, il conte sazzòne ringrazia tutti i lettori di cavalli et segugi per l'attenzione e pazienza mostratagli. la nuova terzina 7-7-5 potrebbe valere solo un esperimento, ma poi che importa, e a chi?

riedo, fischiettando,
quella romagna cheta
serenamente

riapre porta d'autunnal
fosco, tetro contemplo.
ragion fuggita

e speranza mutata
da tutte queste prove
fattane strame

buono il seminatore:
smarrito il suo talento
facil 'l consiglio

porta molta pazienza
dietro la curva cieca
ecco: l'inverno.

mercoledì 9 ottobre 2013

biglietto di zona del silenzio

ah, vate montale, quanta ispirazione donata. e tu frecciarossa, nella tua carrozza chiostro moderno di monaci raminghi ultraveloci. grazie.

spesso il malo sabaudo ho sopportato

spesso il malo sabaudo ho sopportato
era il gobbo ladrone che t'imbroglia
era il nonsenso, di malavoglia
figlio, era ragione violentata.

pace sovvenne, fuor di quest'indugio:
mandato da divina provvidenza
era biglietto di zona del silenzio
in stazione, al binario, frecciarossa pronto - partito.

venerdì 13 settembre 2013

la vana fuga dal pollaio cialtrobauda

saremmo ingrati stolti se non ricordassimo la lezione di catone, se derogassimo dalla missione illuminista, se non operassimo vera tolleranza denunciando il male non appena lo si sia riconosciuto. e pazienza se tutta questa risoluzione, così faticosamente individuata, non ci distinguerà da quel tavolo che cerchiamo di misurare da tutta la vita. e pazienza se la nostra ipotesi non passa la luce della ragionevole alba - la missione resta onestamente compiuta, l'effimero palo della vittoria è stato meritato.

guarda la scala
sbuca dalla soffitta,
da quel pollaio
dove prude a vergogna,
cappone cialtrobaudo

béstia servile
d'inchino esercitata
cortese lode
segno ipocritico
d'adulante parlata

sul pavimento
i frutti conseguiti,
guano verace,
soggiace a vergognosa
rimembranza e memento

fuor dalla stalla
sgomberata l'aria dal
vento sereno,
voce di prometeo:
l'eroe padre

godo contento
nella notte, sorella e
cara compagna
dei miei vani pensieri,
fantasmi dell'aurora.

la collina del fiore della tolleranza

a volte la riflessione razionale, assieme a tutti i suoi righelli, conduce ad eccessiva durezza verso se stessi, eppure ogni volta che esercitiamo perdono e tolleranza stiamo in effetti coltivando quel fiore che ci renderà, al momento opportuno contenti della nostra condotta.

sulla collina,
crinale spazzato dal
vento feroce,
resto deciso, quasi
impettito pupazzo

congrua effige
della volontà cieca
della tensione
bestiale verso, pazzo,
il fallace stendardo

mentre, nascosto e
quasi dimenticato,
bello e suadente,
cresce ai miei piedi
l'onesto fiore figlio

della clemenza,
quando esercitata,
di temperanza,
modo strada ferrata
a saggia direzione.

martedì 10 settembre 2013

le quiete elucubrazioni che fanno zavorra alla fine dell'estate

la prima perturbazione di settembre, le menti migliori che come sempre saggiamente disertano cernobbio, l'elenco dei libri di scuola. e poi dicono non servano paradisi artificiali, o almeno una catartica vendemmia. a me tocca la pessima reincarnazione cialtrobaudita, e assistere rassegnato ed incattivito all'irreversibile declino dello spirito geometrico - già quello di finezza era sparito da un pezzo. la canzonetta triste del cantantucolo smacchiante felini, sopravvalutato ingranaggio del media system, sparge fredda melassa vischiosa sopra questa torta indigesta, e la nasconde all'occhio ingenuo del bambino, che comunque non merita questa condiscendenza pelosa.

triste ritorno
settembre maledetto
restavo al mare
dove, immaginando
la fine dei miei giorni

potevo, quasi
fosse volo planato,
oppure lento
obliquo stanco passeggìo
dell'ultimo bagnino

figurarmi che
tutto tornasse salvo
come non fosse
mai stata, la stagione
della mia furia cieca.

ma ora è tardi
e la luce è scemata:
resto rondone,
che attende di migrare
e non sa se tornerà.

lunedì 27 maggio 2013

cosa ci fa una rondine se non è primavera?

(mi accontenterò del tempo andato)


rondine folle,
tutto questo peregrino
trambusto, reso
vano dalla tua cieca,
irrisolta vaghezza


musica, taci.
e tu, antica scienza
di tolleranza
soccorrimi, spiegami
ragione, ed ausilio.


pallida luce
che ancora schiarivi nel
triste meriggio
affievolita certo,
ma mai data per morta


riposa. grazie.
ora, mio basto greve,
basti a te stesso.
portato ad espiazione,
sei grato compagno.

giovedì 23 maggio 2013

la lunga strada verso il mare

venga l'estate
dimentico l'inverno
tutto quel freddo
esco, mi chiedo, dalla
stanza, vuota di voci

senza colori,
nessuna distrazione
culla perfetta
rifugio prestato alla
serena riflessione

ma fuori là
bambini che ridono
speranza rifiorita.
tempo che passa invano:
adesso basta, penso.

verso il mare,
la strada è ancora lunga.
andiamo, presto
sarà quello che, nella
paziente attesa, verrà.

domenica 10 marzo 2013

la lampada che, spostata, illumina il retro della mia stanza


credevate forse fossi scomparso? per dirla con eraclìto, certo che si.

altro silenzio.
voltata la pagina
è nuova tela
e bianca, che incombe
e chiede il colore:

sforzo creativo,
momento di sintesi,
superamento.
dopo mesi d'inverno
ragione assonnata

nulla di nuovo?
ogni cosa diversa.
come lampada

solo spostata
che mette luce al retro
della mia stanza.

lunedì 21 maggio 2012

il tempo del silenzio

poche le speranze, ed immutato il doloroso impegno di esistere allo spettacolo dello strazio della ragione, e del trionfo dell'inetta, idiota, complice accondiscendenza.


altra serata
d'attesa, magnifico
nulla e lucente
sembianza di missione
compiuta, e brillante.

fuori, la pioggia
caduta a dilavare
tutta l'angoscia,
di corsa cieca e folle
verso l'empio stendardo.

piano, il sonno
sovviene. e pietoso
lenisce la malata
presenza a te stesso, le
pavide sfide reali.

resta del tempo,
che segna di vedovo
stemma, il silenzio. 

sabato 7 aprile 2012

il volo vano del gabbiano

il conte sazzòne rimugina sulla difficoltà della riflessione sull'essere e sul nulla e su come tutto questo, lungi dal lenire il proprio male di vivere, è solo parvenza di saggezza mentre rasenta ridicolo l'onanismo intellettuale. buona pasqua, ma sarà il caso? 


guarda gabbiano
sotto di te la spiaggia
quelle persone
schiave tristi di noja
comune, ed ingannate


tutto il tuo volo
la calda metafora
di leggerezza,
sofferenza sospesa,
traguardo intravisto

vano dimostra
il suo significato

l'essenza vera

di possibile
che infine disvelata è
sola disgrazia.

venerdì 23 marzo 2012

l'autunno amaro dell'amaro limone cipriota

il conte sazzòne, turco di baffo ma non di costumi, alle prese con le inaspettate ma sapide vicenze degli spacciatori di quote commissionabili, risolve di par suo il problema del quotidiano nascondimento - ma paventando l'inesorabile autunno del proprio medioevo: misantropo, ramingo e resipiscente.

nella perduta
terra dei lusignani,
quei limoni
amara metafora
di nemesi dovuta

morta la rosa
dell'immaginifico
autunno, volto
alla ripetizione
d'estate mai vissuta

sciolte le ali
fatte di ambizione
senza sostanza

ecco, sazzòne,
guarda: la c'è l'inverno,
che sopravanza.

giovedì 16 febbraio 2012

la stanchezza del bardo

l'indebolirsi della vena poetica del sazzòne, forse momentaneo distacco dalla fatica del concetto, temo piuttosto messaggero d'autunno d'un medioevo cui non si sia trovata america per mutarne il declino in nuova speranza per le future generazioni, trova flebile scusa nella congiuntura avversa. 
e intanto il bicchiere resta sempre mezzo vuoto, e l'arte di vederlo per pieno si disvela in patetica illusoria pseudoscienza. caduto il velo di maja, al conte poco resta dopo aver tanto corso dietro bandiere fallaci, o forse solo passeggiato.

il bardo stanco
dopo tanti balocchi al
canto del cigno:
l'anziana crisalide
mai fatta farfalla

lievi i cimenti,
sempre nascosto il braccio,
vita di striscio
seminato? si, forse
mai strappate erbacce.

podere avaro
e preda di rapaci:
scarsa la messe

scende la notte
e il canto è fatto in
triste lamento

certo, guccini liquidò tutta questa paturnia con "io solo/qui alle quattro del mattino/l'angoscia e un po' di vino"

mercoledì 4 gennaio 2012

colpo di scena, non pervenuto.

il sud comincia a modena sud, ma termina a piacenza sud, ed è direzione che spiega il finale di ogni viaggio. questa è la saggezza immanente del conte sazzòne: non serve a granché, purtroppo, ma la forza del pensiero debole resta forte.

suoni felici
sento venire da sud,
dove la terra,
fatta meta del mare,
finisce per trovare

quel certo senso
compiuto e finale di
pace raggiunta.
nessuna soluzione,
nessun colpo di scena

la sola vera
pacata riflessione
resta inespressa:

troppo pudore
nel prenderne coscienza:
semplice, vero?

venerdì 11 novembre 2011

il freddo del treno che non va da nessuna parte

ultime volte
di un autunno folle
girato a spasso
tra le pioggie e le bizze
pedanti della sorte

mal sopportata
d'esiliato e negletto,
in fuga dalla
stupidità cantata
nel rito satanico

di servi intenti
allo strofinamento, a
tenersi al caldo.

qui, sul treno
che mi porta e riporta,
un freddo terso.