waiting to become a member of the dead poet society. il tutto a (suo) tempo debito, intendiamoci.
solo i poeti, in quanto capaci di mettere più a rischio di tutti il proprio linguaggio fino quasi a smarrirlo, sono in grado, in questa condizione di povertà interiore, di ritrovare il senso del sacro e quindi l'intimo rapporto che unisce l'essere all'uomo. (heidegger, sul pensiero poetante)
martedì 18 marzo 2008
zero: in un freddo inverno
quest'anno l'inverno è stato parecchio triste.
ho iniziato a ragionare su cosa fosse giusto, su cosa non lo fosse, su cosa fosse necessario, su cosa fosse invece superfluo: non ho capito nulla.
poi, forse, la mia strada era quella di scrivere, per vedermi per intero.
erano due anni che non scrivevo più, e gli ultimi articoli per week.it non erano più nulla di sentito: in fondo l'information technology non mi interessava più, specie visto come la si pratica in contesti autodefinentesi d'eccellenza.
l'inverno del nostro affanno è fatto ora tiepida estate, grazie a questo bel sole (o figlio?) di york: avevo in testa la soluzione, mi mancava il problema. solo perchè non lo vedevo - non riuscivo a vedermi dal di fuori. dovevo riuscire a sdoppiarmi per starci dentro, per non soccombere al vacuo che vedevo incombente.
per fortuna gli haiku - due settimane per imparare a padroneggiarne la metrica: tre mesi per scriverne cinquecento, e non credere davvero di esserne capace fino al post numero quattrocentosettantacinque, e poi il rush finale di domenica scorsa.
chi è più vicino al problema è anche più vicino alla soluzione: visto che avevo in testa la soluzione, è evidente che il problema sono io. per un solipsista dovrebbe essere una verità di per sè evidente, poi: per fortuna sono scettico anche su questo.
ad ogni modo è quasi primavera, e questo mio caleidoscopio di sciocchezze è pronto per generare nuove interpretazioni: sotto la neve, pane. ogni volta che qualcuno vede la propria pena almeno momentaneamente alleviata leggendo una di queste mie, allora forse ho fatto qualcosa di buono.
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